La toma dei Walser

Partiamo al mattino presto dal Forte di Bard, che è ormai diventato il nostro punto di riferimento per le escursioni in Valle. Bastioni severi, pietra che sembra sbalzata dalla roccia: uno straordinario motore culturale racchiuso in una fortezza dal fascino austero, quasi severo. Al Forte si respira aria buona, la stessa freschezza che accompagna la libertà di pensiero; queste mura sanno ospitare le idee e gli stili più diversi, offrendo in ogni periodo dell’anno una molteplicità di stimoli che sono un vero nutrimento.
La salita verso la cima del monte fa tappa a Gressoney Saint-Jean, nel cuore della valle del Lys e della cultura Walser. Per noi oggi è solo un luogo di passaggio, una specie di campo base da cui partire per raggiungere gli alpeggi del Loo. Lassù conosceremo Simone, un giovane che sta tenacemente praticando la pastorizia d’alta quota, come facevano i suoi antenati Walser.
Le abitazioni tipiche in legno e pietra, con gli stemmi dipinti sui balconi fioriti, fanno da sfondo alle prime inquadrature. Poi le attrezzature salgono sull’elicottero. Anche Davide monta sul Koala, seguito dal resto della troupe. Io invece mi accorgo di aver dimenticato i calzoncini. Così indosso i bermuda del pigiama, allaccio le scarpe e comincio a correre lungo il sentiero. Dopo meno di un’ora sono in cima, in un pianoro sospeso che chiamano “La valle dei principi”. Un luogo di una bellezza struggente; ma non è l’alpeggio del Loo.
La montagna ha sempre qualcosa da insegnare. Volevo salire in fretta, quasi fare a gara con l’elicottero. E invece eccomi lì, a camminare avanti e indietro, alla ricerca del sentiero che non c’è. Credo che la lezione di oggi sia legata ai concetti di tempo e di attenzione da dedicare alle cose. Così comincio a scendere, sempre cercando un collegamento con l’altra valle, ma assaporando ogni passo. Incontro le case dei pastori, i caprioli che mi girano intorno senza lasciarsi avvicinare, le marmotte che fischiano, l’acqua che sgorga e scorre. Ritorno a Gressoney, imbocco il sentiero giusto e ricomincio a salire.
Il vallone del Loo ha un aspetto aspro e delicato al tempo stesso, incassato tra due pareti di montagna: da un lato il verde di pascoli, dall’altro il grigio delle rocce e dei sassi che rotolano verso il torrente. Un lieve declivio sospeso a duemila metri di altezza, con un primo villaggio da cui parte un sentiero delimitato da una coppia di muretti in pietra. In alto le baite che i Walser hanno costruito nel corso dei secoli, attorno a una cappelletta del Cinquecento. Un villaggio dove almeno una quarantina di persone potrebbero vivere e fare famiglia; invece c’è solo Simone, con la madre e il padre. Oggi però ci siamo anche noi.

La montagna sembra sempre perfetta a chi la guarda dal basso, con il distacco di chi vive altrove: una sorta di dono della natura. Invece è la mano dell’uomo che la modella e la cura, pulendo i boschi, tagliando il legname, mantenendo i pascoli, tracciando i sentieri. Veri e propri manufatti che tutelano il territorio. Realizzati da persone rare. Come dice Davide: beni culturali viventi.
Simone è uno di loro. Qui negli alpeggi del Loo, sulle pendici del Monte Rosa, produce la toma di Gressoney, il formaggio tipico della comunità Walser.
I Walser sono una popolazione di origine alemanna, che si è spostata in queste valli in epoca medievale, quando il riscaldamento della terra ha reso accessibili alcuni passi alpini, prima impraticabili. La capacità dei Walser di abitare e bonificare le zone di montagna più alte e impervie è da sempre straordinaria. La compattezza culturale della popolazione è fortissima, quasi sacra. Ha mantenuto con orgoglio la lingua, le architetture, i costumi, le tradizioni.
La toma di Gressoney racchiude tutti i sapori e i valori della cultura Walser. È un formaggio a latte crudo, che Simone realizza per uso familiare esattamente come faceva il nonno quando era bambino.
Il latte delle due mungiture viene miscelato e raffreddato con acqua di sorgente. Dopo la scrematura, la cagliata viene lavorata finemente e poi scaldata al fuoco di legna. Le forme, una volta nelle fascere, stagionano in grotta su assi di abete e vengono pulite e salate ogni tre giorni.
Simone mostra a Davide come si raccoglie a mano il formaggio sul fondo del paiolo, per poi estrarlo e metterlo in forma. Prima però bisogna assaggiarlo. La pasta è morbida, leggermente granulosa. Trasuda latte ed è elastica. Dolcissima.
– La senti sotto i denti? – domanda Simone. – Quando fa così, il nonno diceva che era buona.
Poi un gesto rapido, preciso. La massa morbida vola dal rame della pentola al legno della fascera, avvolta in un telo grezzo pulito.
Adesso bisogna metterla sotto un peso, per togliere il residuo di latte. Simone usa un ingegnoso sistema di leve in legno.
Quasi timidamente, con molto rispetto, Davide impugna il braccio della leva e accenna a togliere il fermo.
– Posso fare io? – domanda.
– Certo, – risponde Simone. – Fai con comodo, non c’è fretta.
Davide libera il braccio della macchina e guida il legno sulla toma nella fascera. È troppo corto. Simone misura a occhio lo spazio, si china sotto il banco e prende alcuni spessori di legno. Davide rimane immobile con le mani sospese, ferme sulla leva, come se fossero gli ingranaggi di un orologio e lui stesse fermando il tempo. Un istante magico; il tempo sembra davvero essersi fermato, mentre la pioggia comincia a battere sul tetto della baita.
Il sole della mattina è diventato un violento temporale, e noi dobbiamo ancora filmare molte scene in esterni. Massimo – il nostro regista – ci ordina di uscire, mentre Marco, l’operatore, avvolge nella plastica la telecamera.
Raggiungiamo un pianoro sopraelevato, un punto di vista privilegiato sulla valle e il villaggio. La pioggia è sempre battente e la grandine non dà tregua. Ma nessuno di noi cerca un riparo. Gli animali ci raggiungono incuriositi e noi restiamo lì, a fare il nostro mestiere.
La forza del gruppo è contagiosa. Stiamo registrando immagini suggestive, con il ghiaccio che rimbalza sulla schiena delle vacche e sulla fronte di Davide, il quale giura di sentirsi “come a casa”.
Dopo un po’ arriva dal pascolo anche il padre di Simone, con i vitelli. Il cane ha il pelo zuppo d’acqua, ma per lui è una giornata come un’altra. Si avvicina scodinzolando a Davide. Gli poggia il muso sulle ginocchia. Davide lo accarezza, come accarezzava Pongo tanti anni fa.
– Sei un bravo cane, – dice. – Proprio un bravo cane…

Abbiamo quasi finito. Il cielo si apre di nuovo mentre scendiamo con Simone nella grotta di stagionatura. Sulle assi di abete mettiamo le due tome prodotte oggi. Un’altra spruzzata di sale e poi via, verso nuovi paesi e nuovi paesaggi, facendo attenzione a non mettere i piedi nell’acqua di sorgente che scorre al centro della baita per mantenere costanti la temperatura e l’umidità.
Bene, ora è tempo di andare.
Venite anche voi a Gressoney, nella Valle del Lys e sulle montagne dei Walser, ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

(Luca Masia per Mentelocale 2015)

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