Monumenti della natura

Davide e io partiamo dalle Murge verso sera e scendiamo spediti a bordo della nostra piccola auto a noleggio. Come al solito parliamo fitto e ci ascoltiamo a vicenda. Un esercizio che ci riesce talmente bene da annullare le distanze e dissolvere i cartelli stradali. Arrivati a Bari dovremmo proseguire sulla litoranea, invece pieghiamo a destra, verso Taranto, seguendo il flusso delle parole e dei pensieri che si affollano compatti nell’abitacolo della vettura.
A Gioia del Colle realizziamo di essere fuori strada e di avere allungato il tragitto. Così, tanto per non smettere di ragionare sulle cose della vita, racconto a Davide di Haim Baharier e del suo Qabalessico, un libro piccolo e agile, ma prezioso.
Baharier è un maestro del pensiero e della parola. È nato a Parigi, da genitori ebrei di origine polacca. Ha vissuto i drammi della guerra ma ha avuto la fortuna di studiare con Lèvinas e Askenazi. Potremmo definirlo un esegeta, ma è anche un matematico e uno psicanalista. Un maestro, appunto.
Il Qabalessico è una raccolta di riflessioni su piccole questioni che improvvisamente si aprono su mondi sconosciuti e inesplorati. Una di queste riguarda le cosiddette “allungatoie”, quelle circostanze impreviste che cerchiamo di evitare, sempre alla ricerca di scorciatoie. Il maestro suggerisce invece di accoglierle come opportunità.
E infatti, una volta sulla strada per Alberobello, attraversando distese di trulli e oliveti, succede alle nostre spalle qualcosa di speciale. Non possiamo fare altro che fermarci, uscire dall’auto e guardare. Come dicevo: trulli in controluce, ondulazioni dei campi, distese di olivi, intrecci di muretti a secco. E sullo sfondo, imponente come una scenografia teatrale, il cielo con il suo tramonto. Siamo stati lì in silenzio, a guardare, finché è venuto buio. Allungatoie…

Arriviamo nella Piana degli olivi secolari di notte. Ci viene incontro Corrado, il protagonista della puntata. Ci accoglie nella sua masseria, circondata da centinaia di olivi di mille, duemila, addirittura tremila anni.
Prima di andare a dormire, Corrado ci guida sottoterra. Entriamo in un frantoio ipogeo dove si lavoravano le olive delle sue piante già nel Medio Evo, in epoca romana e addirittura al tempo dei Messapi, una popolazione vissuta circa otto secoli prima di Cristo.
Corrado ci mostra le basi delle presse romane e medievali, le vasche di raccolta dell’olio, i canali di scolo scavati nella pietra. Ci indica le stanze di raccolta delle olive, strappate con punta e mazzetta alla roccia e alla terra. C’è anche una grande pietra, orizzontale e ben levigata. Sembra un piano di raccolta, una specie di antico scaffale. Corrado si sdraia su quel masso e spiega che era il luogo dove gli operai dormivano. Immaginiamo la vita di quegli antichi individui, costretti a vivere e lavorare sottoterra per molti mesi. Oggi questo è un luogo dal fascino indescrivibile, ma un tempo doveva essere lo scenario di una vita infernale.
Fino all’Ottocento, i frantoi erano spesso ipogei per due motivi fondamentali: da un lato il bisogno di nascondere l’olio, che era prezioso come l’oro e che doveva essere tenuto il più lontano possibile dai briganti e dai potenti, dall’altro la necessità tecnica di lavorarlo a una temperatura costante superiore ai dieci gradi perché si mantenesse fluido.

L’indomani iniziamo presto le riprese. Trascorriamo una giornata tra gli olivi, a filmare Davide e Corrado tra questi tronchi millenari che hanno già visto e sentito tutto. Sono muti, ma hanno moltissimo da dire. Occorre avvicinarsi a loro con calma, scegliere una pianta e osservarla. La si può toccare, accarezzare e abbracciare, oppure esplorare le cavità del suo tronco, appoggiarsi al fusto, sdraiarsi sulle radici. Si possono indagare le trame della corteccia, alla ricerca di sculture che la natura ha modellato sui tronchi.
C’è un olivo che Corrado chiama “l’albero della vita”, perché da un lato presenta il corpo di un giovane uomo, mentre dall’altro la figura sensuale di una donna, con un serpente accanto al piede. È un albero che si rifiuta di morire. Anche in agonia, continua a dare frutti.
C’è poi il “grande vecchio”, una pianta di oltre tremila anni con il fusto che corre parallelo al terreno ritorto tre volte su se stesso. La cavità dove infilo la testa sembra il boccaporto di una macchina del tempo.
Nella masseria di Corrado dimorano un migliaio di olivi secolari, di cui ottocento censiti dalla Regione Puglia come “monumenti della natura”.
Si può camminare per ore tra questi olivi monumentali, ascoltando le loro parole mute, osservando le forme dei loro corpi vivi. Una cosa che si nota osservando l’insieme del campo è l’inclinazione delle piante. Uno sporgersi costante dei tronchi verso una stessa direzione, con uno stesso angolo rispetto al terreno. Immagino che sia il vento ad aver piegato i tronchi, invece Corrado mi spiega che è il movimento della Terra.
Gli olivi sono inclinati come il nostro asse di rotazione.
Questo luogo è davvero unico al mondo. Per quanto silenziose, queste piante gridano di essere conosciute e protette. Come dice Davide nel corso della puntata, “dovrebbero essere nominate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco”. Corrado si batte da anni per ottenere questo riconoscimento e speriamo che la nostra trasmissione contribuisca a dare agli olivi secolari di Ostuni la notorietà e il rispetto che meritano.

Queste piante sono un patrimonio vivo e producono olive di qualità, della varietà Ogliarola Salentina. Adesso, a metà ottobre, siamo in piena raccolta. Davide si unisce agli operai e insieme a Corrado imbraccia gli strumenti di lavoro: lunghe pertiche con rastrelli posti alle estremità che permettono di smuovere delicatamente i rami facendo cadere le olive nelle reti stese a terra.
Un tempo, queste olive sarebbero state ammassate sopra il frantoio ipogeo e fatte cadere nelle stanze di raccolta, dove sarebbero rimaste per mesi e lavorate dagli uomini in cattività.
Oggi sono frante in una moderna struttura, dove con tecniche artigianali diventano l’unico olio al mondo prodotto da monumenti della natura.

Bene, ora è tempo di andare. Ci aspettano altri paesi e altri paesaggi. Ma prima di proseguire il viaggio, ci fermiamo nella Grotta della Maternità, a pochi chilometri da Ostuni. Qui è stato ritrovato lo scheletro della madre più antica dell’umanità: una giovane donna di 28.000 anni fa. Il corpo è ben visibile, sdraiato su un fianco; una mano sotto la guancia, come per ammorbidire la durezza del terreno, e l’altra sulla pancia, ad accarezzare la vita anche in punto di morte.
Venite a Ostuni, nella Piana degli olivi secolari; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti.

(Luca Masia per Mentelocale 2014)

Altre opere