SKYRUNNER Il corridore del cielo

Ho vissuto sempre in salita, fin da bambino. Oggi lo considero un privilegio, anche se ogni tanto penso che non sarebbe stato male fare un po’ meno fatica. Da bambino non ci facevo nemmeno caso: la salita era il mio orizzonte naturale, il mio paesaggio quotidiano. Crescendo ho conosciuto momenti di ribellione, quando dall’alto della montagna guardavo in valle e mi sembrava di vedere gente più fortunata di me, che aveva tanto facendo poco. Ma non era così. Il vero fortunato ero io, perché la salita mi è rimasta nel cuore ed è diventata la mia palestra di vita.
Un po’ come volare, quando l’ombra si stacca da terra. La salita è leggerezza: nobilita il pensiero e rende la vita lieve. Credo che il desiderio di salire sia nell’istinto di ogni essere umano: i mistici praticavano l’ascesi, noi moderni scaliamo le montagne. Ma il vero piacere è nella salita quotidiana, nella capacità andare sempre verso l’alto, non solo con il corpo ma anche con la mente.
Per capire i luoghi e la gente, è utile vedere le cose dall’alto. La vista coglie i dettagli e percepisce il senso del tutto. Fin da bambino, quando correvo in alpeggio dietro alle mucche e ai miei sogni, amavo raggiungere gli speroni di roccia e guardare in basso. Più erano a strapiombo e più erano belli. Da lassù, mi piaceva seguire il corso del fiume che aveva scavato la valle, indovinare i percorsi del vento osservando il volo degli uccelli, capire perché certi terreni erano coltivabili e altri non davano frutti.

 

“Es un idolo, me hizo soñar de niño, para nosotros es Dios”.

Immaginavo un uomo alto circa due metri, con le gambe d’acciaio, lo sguardo altero, gli occhi fissi su un orizzonte lontano, visibile solo a lui e inaccessibile agli altri esseri umani. Lo immaginavo mentre sfilava attraverso le montagne senza fatica, con passo costante; neve, ghiaccio, roccia… Il viso sempre sereno, che non mostrava mai la fatica e le difficoltà, perché è così che immaginiamo gli idoli.

Invece non ho mai pensato alla sua voce: Bruno era troppo lontano dalla mia realtà perché un giorno potesse fermarsi a parlare con uno sconosciuto come me.

Fino a pochi anni fa, quando internet era ancora una novità e l’accesso alle rete era possibile solo attraverso il cavo del telefono fisso, le poche immagini che vedevo sulla corsa in montagna erano quelle che le riviste specializzate pubblicavano ogni tanto. Tutte le informazioni che avevo su di lui mi giungevano dalla bocca dei suoi rivali; atleti che avevo conosciuto alle mie prime gare, quando ero ancora un ragazzo. Quico Soler, Agustí Roc Amador, Ricardo Mejía Hernández, Marino Giacometti sono uomini che, attraverso i record di Bruno e la condivisione del suo mito, hanno fatto in modo che io mi avvicinassi a questo sport.

Dopo quegli anni, è finalmente giunto il momento in cui l’ho incontrato. Era discreto, quasi timido. Vestito con una tuta blu Fila si è mostrato quasi a disagio per l’adorazione che mostravo nei suoi confronti. Spesso allontanava la conversazione dai suoi successi e dalle imprese che aveva realizzato. Parlava dei record con vera umiltà: «Sai, noi siamo gente di montagna, gente semplice», diceva.

Nel suo viso, rotondo, mi colpiva la pelle segnata dal sole invernale; non era solo l’effetto della neve in gara o degli allenamenti in alta montagna, ma anche – soprattutto – la vita in cantiere, a spaccare le pietre per costruire con le sue mani le case che riparano dal freddo tante famiglie della Valle d’Aosta.

Bruno insegna con un grande sorriso, contagioso. Parla della sua terra, delle sue montagne, e poi alleggerisce tutto con le battute di spirito, le storie divertenti, la gioia della vita. Questa è la persona dietro il mito, l’uomo che quando lo conosci ti impressiona più per gli occhi e il sorriso che per il valore delle imprese sportive.

Il tono diventa serio quando parla delle paure provate durante il record del Cervino o il tentativo sull’Everest. “È stato difficile conciliare la vita dell’atleta con la famiglia”, ammette, ma subito dopo recupera il sorriso e ricorda i tanti amici che ha conosciuto nei lunghi viaggi intorno alle montagne del mondo: amici che si contano numerosi, perché Bruno è capace di scaldare il cuore della gente e nessuno può fare a meno di volergli bene.

Probabilmente senza saperlo, ha fatto volare uno sport: lo skyrunning. Avrebbe potuto diventare un grande ciclista, ma ha avuto la fortuna di trovare la disciplina che lo definiva alla perfezione. Bruno è riuscito a dare una forma alla corsa nel cielo: una dimensione mitica e una visibilità che ha portato le generazioni future a scoprire questo sport.

Ma soprattutto, con la sua grande personalità e la sua umanità, ha cominciato a creare una famiglia unita e forte, rispettosa dei valori della montagna: una famiglia che oggi è cresciuta e si è diffusa nel mondo.

Per tutto, grazie Bruno.

Kilian Jornet Burgada
(campione del mondo di skyrunning, ultratrail e ski mountain)

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Bruno Brunod è il fuoriclasse: come lui, ne nasce uno su un milione. La sua forza di volontà e le sue doti naturali sono eccezionali, ma ciò che lo fa veramente vincere è l’amore per la terra che calpesta, la memoria dei profumi e dei colori dei nostri boschi che è scritta in maniera indelebile nel suo Dna; e poi il richiamo verso l’alto alla ricerca di una libertà che ben conosce, il piacere del sole come del gelo quando solcano il viso, la gioia della condivisione con i compagni prima, durante e dopo ogni gara.

È un lottatore genuino, che trasuda i valori della nostra terra: si leggono sulle rughe del suo volto la dura vita degli inizi, l’abitudine al sacrificio, la natura non addomesticata che lo abita. Un talento straordinario che non può essere trascurato: un messaggio di umiltà e di dignità per i giovani, una bandiera per la Valle d’Aosta.

Augusto Rollandin
(presidente Regione Valle d’Aosta)

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