L’Italia degli anni sessanta non è più uno stivale rotto, lacerato dalle bombe della seconda guerra mondiale, e nemmeno uno stivale sporco di quel fango raccolto in secoli di lavoro nei campi. Dopo aver scoperto l’industria e abbandonato le campagne, il paese ha conosciuto la crescita economica; ha compiuto un balzo prodigioso che in pochi anni l’ha portato a diventare una delle prime potenze economiche mondiali. Certo, i problemi che si nascondono sotto l’accecante illusione del benessere sono molti e non tarderanno a manifestarsi: le disuguaglianze sociali si trasformeranno presto in conflitti, la cronica carenza di infrastrutture renderà vecchio in fretta un paese che probabilmente non è mai stato giovane. Ma adesso, nel cuore degli anni sessanta, nessuno sembra accorgersene. Il vecchio stivale che s’aggancia alle Alpi e si tuffa nel Mediterraneo sembra piuttosto una stella cometa capace di illuminare l’Europa del sud e guardare senza timori a quella del nord. Sotto Natale, poi, la stella dell’Italia brilla di una luce tutta particolare: un misto di speranza, gioia, voglia di vivere, lavorare, produrre.
Milano è il centro di questo rinnovato Bel Paese, il cuore pulsante di un nuovo sistema economico. Il mito positivista dell’Ottocento, che pareva naufragato con il Titanic e sepolto sotto le macerie della prima guerra mondiale sembra invece rinato con tutto il suo fascino. L’Italia dell’industria e dei consumi di massa, l’Italia dinamica della modernità urbana che si contrappone all’immobilismo della vecchia cultura agricola vive una nuova età dell’oro, segnata dall’illusione di una crescita continua e incessante.
L’incubo delle guerre è alle spalle, davanti sembrano esserci solo benessere e prosperità per tutti.
Nei giorni di Natale, Milano è al massimo del suo splendore. I festoni delle luminarie attraversano le strade e creano tetti di luce sotto cui i passanti camminano svelti, come di consueto, inebriati da un palpito di vibrante euforia. I negozi del centro sembrano i salotti della buona borghesia, ma anche le vie di periferia luccicano addobbate a festa, accoglienti e invitanti nonostante il freddo pungente e la nebbia fitta. La nebbia a Milano ha un odore particolare, come di cibo. A volte viene voglia di mangiarla, come fanno i bambini con la neve.
Introduzione di Giorgio Armani
A Milano sono arrivato che ero uno studente liceale. Venivo da Piacenza, cittadina emiliana così vicina alla Lombardia da averne tutte le caratteristiche di cultura e di carattere, ma poche decine di chilometri valevano un mondo intero. In quel dopoguerra così ricco di attese, di speranze, di necessità che avevano l’urgenza dei sogni, Milano era la città della ricostruzione, come raccontate in questo bel libro, della vita nuova dove tutto era possibile, del futuro. Per me e la mia famiglia, l’inizio non era stato facile: dovevamo ambientarci, conoscere persone diverse, trovare lavoro, andare a scuola, inserirci nella città, che scoprivo con i miei genitori, con gli amici e da solo.
La pasticceria Alemagna tra via Orefici e via Torino era un punto d’attrazione irresistibile, un meraviglioso bar dove tutto era ricco, ma anche solido e austero, con quella lieve frivolezza del simbolico centrino di pizzo sotto la grande A del marchio. E quel profumo di dolce, di cioccolato, di caffè: goloso e corposo, mi piaceva tanto e mi accorgo che mi è rimasto nella memoria, come la madeleine di Proust, a ricordo di quegli anni eccitanti e difficili. Dall’altra parte di piazza del Duomo, alla Rinascente, ho lavorato prima come vetrinista, poi come coordinatore degli acquisti di moda maschile: è partita da lì la mia vita adulta, sempre carica di sogni e di quel desiderio del fare che è il segno più forte dei milanesi.
In qualche modo, se guardo alla storia quotidiana di questa città, rivedo tante storie che assomigliano alla mia: storie di lavoro e di fantasia, di invenzioni imprenditoriali, di una visione del mondo diversa che entra nella vita di tutti i giorni e un po’ la rispecchia, un po’ la modifica. Un filo sotterraneo le lega tutte e a volte il destino le sovrappone. E’ vero: dove c’era la storica pasticceria Alemagna di via Manzoni, con i suoi marmi e le essenze di legno pregiato, oggi c’è Armani/Manzoni 31, il primo dei concept store che portano per il mondo il nome e le collezioni Armani. All’interno, vicino alla boutique dei fiori, si trova anche un piccolo e prezioso Armani/Dolci, con il cioccolato, le marmellate, i panettoni, i caffè. Perché ‘la vita dolce’ è una tentazione irresistibile anche per chi la offre, e non soltanto per chi la gusta. E’ uno spazio limitato, come uno scrigno che raccoglie piaceri e gioie. Nato non per caso, ma che il caso ha voluto che diventasse un elemento di eccellenza di questo spazio.
osì, caro Alberto e caro Tancredi Alemagna, che giustamente definite ‘bellissima’ la vicenda della vostra famiglia e del marchio Alemagna, con quell’indimenticabile angioletto che offre la fetta di panettone, mi è venuta in mente una frase di Bernanos che mi ha aiutato a capire tante cose che possono accadere. “Il caso?” scriveva il grande scrittore cattolico, “Il caso ci assomiglia.” E aveva ragione.