LA FIERA DI MILANO 1920-2020 Cento anni, infinite storie.

Volume a cura di Luca Masia, con testi di R. Arditti, S. Baia Curioni, G. Bigatti, G. Borghini, F. de Bortoli, L. Molinari, I. Pestellini Laparelli, F. Resta, L. Roth, D. Sartorio, F. M. Storer

La Fiera di Milano nasce nel 1920, ma affonda le sue radici in un passato antico, glorioso e gioioso. Tutto nasce dal bisogno degli uomini di incontrarsi e fare festa. Il termine stesso “fiera” deriva dal latino feria, festa. Gente che accorre da lontano per osservare, conoscere, condividere e scambiare. Un luogo che è la somma di tanti altri luoghi: uno spazio dove esporre le merci, ma anche i progetti, le idee. Mettere fuori, ex porre, esporre. Lo spettacolo del mondo: una specie di magia dove ritrovare se stessi perdendosi nella folla.

Dopo l’unità d’Italia erano state numerose le esposizioni industriali e commerciali che avevano portato a Milano grandi masse di pubblico. Particolarmente significativa era stata l’Esposizione del 1881 che aveva attratto oltre 1000 espositori e quasi 100.000 visitatori. Milano era diventata la capitale economica di un paese appena nato e ne stava diventando anche la capitale morale: un tempio del lavoro e della cultura del progetto. Non a caso, un ruolo fondamentale nell’organizzazione della manifestazione era stato svolto dagli uomini del Politecnico. In particolare Giuseppe Colombo, pioniere dell’energia elettrica che in quel periodo stava lavorando alla realizzazione della centrale di via Santa Radegonda, il primo grande impianto in Europa per la distribuzione della corrente nelle abitazioni.

Ci fu poi l’Esposizione Internazionale del 1906, dove l’illuminazione dei viali e dei padiglioni era completamente elettrica e nelle notti di aprile faceva scintillare il quartiere della fiera: una città nella città da via Gadio a via Domodossola.

Questa volta, tra gli organizzatori spiccava la figura di Leopoldo Sabatini, segretario capo della Camera di Commercio e ideatore dell’università Bocconi, la facoltà che sarebbe diventata la fucina milanese delle classi dirigenti nelle industrie, nelle banche, nelle organizzazioni commerciali.

Il manifesto dell’Esposizione, dipinto da Leopoldo Metlicovitz, mostrava un uomo e una donna di spalle, accovacciati su una locomotiva che attraversava una galleria. Lui era Mercurio, il dio della velocità, delle comunicazioni, dei commerci; la galleria era il traforo del Sempione. La locomotiva correva veloce da Parigi a Milano. All’orizzonte, nella luce oltre il tunnel, le guglie del Duomo.

L’Esposizione era dedicata ai trasporti e all’apertura del traforo tra l’Italia e la Svizzera. Un milione di metri quadrati di mostre nell’area compresa tra il parco Sempione e piazza delle Armi, 200 edifici tra cui l’Acquario civico, 35.000 espositori, oltre cinque milioni di visitatori.

Anche a Milano si respirava l’aria di Parigi, con le luci scintillanti della belle epoque, i teatri delle dive e le tele degli impressionisti, i motori delle prime automobili che innervosivano i cavalli delle ultime carrozze. Erano anche gli anni di Freud e della psicanalisi, di Marconi e della radio, di Einstein e della relatività; Picasso inventava il cubismo mentre i vagoni dell’Orient Express collegavano le capitali della vecchia Europa all’Oriente. Un sogno, destinato ad affondare con il Titanic nelle acque gelide dell’Atlantico. Era il 1912: un paio d’anni dopo sarebbe scoppiata la Prima guerra mondiale.

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