LUIGI NOCIVELLI La vita oltre le imprese

“La ragione umana deve volere con più forza del destino.
E diventa il destino.”
(Thomas Mann)

Il treno fischia ed entra lentamente nella piccola stazione di Verolanuova. Le ruote cigolano sulle rotaie, la locomotiva sbuffa nuvole di fumo. Sulla banchina c’è Luigi Nocivelli, un giovane di 17 anni che attende accanto al padre Angelo e al fratello Enrico, di un anno più giovane. I tre salgono e trovano posto in piedi nel vagone bestiame, mentre il capotreno alza un braccio e la locomotiva si rimette in moto. Non hanno bagaglio, solo una piccola sacca a tracolla con i panini per il pranzo. È sabato 28 giugno 1947. Il treno merci procede verso Brescia con esasperante lentezza. Arrivati in stazione, i Nocivelli scendono e montano su un grande convoglio. Proviene da Venezia ed è diretto a Milano, la grande città che sta risorgendo dalle macerie della guerra.

I panini che Angelo Nocivelli tiene nella sacca li ha preparati la moglie Lina con l’aiuto della madre Maria, una donna rimasta vedova giovanissima che durante la Prima guerra mondiale s’era inventata un’attività di fornaia. Tutti i giorni, con la collaborazione di un’altra donna, impastava a mano e cuoceva nel forno a legna del cortile di casa 400 chili di pagnotte per l’esercito. Quei tempi difficili erano passati, scivolando su fascismo, colonialismo e autarchia, per poi precipitare nella follia di un’altra guerra mondiale. Dopo vent’anni di dittatura e venti mesi di assedio militare, dalla firma dell’armistizio al giorno della liberazione, l’Italia era distrutta: uno Stato considerato nemico dai vincitori e traditore dagli sconfitti. Nel 1945, le città erano ridotte a cumuli di macerie, mentre per le strade vagavano milioni di senza tetto, disoccupati, reduci e profughi. Un esercito di disperati senza prospettive, armati però di speranze. Si era chiuso il periodo del terrore e gli esseri umani che si erano combattuti iniziavano a ricostruire ciò che avevano distrutto.

Nell’agosto del 1946, a Parigi si erano svolti gli incontri per la stesura del trattato di pace. Guido Carli partecipava ai lavori e scriveva che “in molte città italiane non c’era pane per più di una settimana ed era impossibile distribuire più di 900 calorie al giorno alla gente”. Lo stesso Carli testimoniava che nei colloqui paralleli al congresso, la Bank of America si era interessata alla questione italiana e stava maturando l’idea di concedere un prestito di 10 milioni di dollari alla Fiat. Erano i primi segnali di un programma di aiuti più strutturati. Un anno dopo, il 5 giugno 1947, il segretario di Stato George Marshall, annunciò infatti al mondo lo European recovery program, un piano d’investimenti in Europa di 14 miliardi di dollari in quattro anni. Il Piano Marshall aveva acceso le speranze di un tessuto produttivo che era stato messo in ginocchio dalla guerra ma che non era morto. La creatività italiana aspettava solo di rimettersi all’opera.

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