Il mulino di Bert

Siamo a un passo dal Tagliamento, il grande fiume che accoglie nel suo letto un intreccio di corsi d’acqua e isole di sabbia e sassi. La nostra steppa del nordest, un ecosistema unico, corridoio di piante e animali tra le Alpi e l’Adriatico, le montagne e il mare.
Ci fermiamo sul ponte, intralciando come al solito il traffico. Un rapido passaggio di Davide con la sedia in spalla, poi raggiungiamo l’argine e scendiamo sul greto pietroso del fiume. Davide cammina sull’orizzonte asciutto e grigio dei sassi aggirando le pozze d’acqua. L’acqua è importante nella puntata di oggi e Massimo – il nostro regista – ha pensato a una serie di inquadrature che ne esprimano la forza e il fascino.
Ci allontaniamo e torniamo alle macchine, mentre lui resta giù al fiume, a cercare nella realtà le immagini che ha in mente. Lo vediamo al centro di un canale laterale, con l’acqua che scorre un dito sotto il bordo degli stivali; immerge la telecamera, poi lascia che la corrente gorgogli intorno all’obiettivo, infine la solleva a mezz’aria e la punta verso il cielo.
Non so bene cosa stia facendo. So che nel montaggio finale, in quel punto del servizio, Davide dirà: “L’acqua domina tutta l’area di Codroipo, ricchissima di sorgenti naturali. L’acqua è vita ed energia: scorre e alimenta le pale del mulino di Bert”.

Per raggiungere il mulino di Bert lasciamo il Tagliamento e ci spostiamo un passo più in là, nel Parco delle Risorgive; poi seguiamo il corso della roggia Sant’Odorico, che scende da Gemona e si getta nel fiume Stella dopo aver mosso le antiche pale del mulino.
Con noi c’è Cristian, il protagonista della puntata assieme al padre Bert. Il mulino risale alla metà del Quattrocento e appartiene alla loro famiglia dalla fine del Settecento. E’ un luogo straordinario, armonia di architettura, meccanica e idraulica: un museo vivo di storia del lavoro e cultura materiale.
All’esterno dell’edificio ci sono quattro grandi pale; mosse dall’acqua della roggia danno vita alle macine a pietra naturale. La ruota principale misura quattro metri di diametro ed è stata costruita a mano sul posto.
– Erano venuti i tecnici dall’Austria, – mi spiega Cristian. – Ingegneri e operai accampati fuori dal mulino per costruire la grande ruota. Era costata come mezzo Friuli…
Il richiamo del movimento delle pale è irresistibile e attira le nostre telecamere. C’è quella ufficiale di Massimo e Marco, ma c’è anche la mia, impegnata a filmare il backstage. Ho già ripreso la sosta sul Tagliamento e poi Massimo nel cuore di Codroipo che danza con un’ignara passante al suono delle campane dell’Immacolata. Adesso mi concentro sulle pale, filmando Massimo che si arrampica sul greto della roggia e si sporge tra l’acqua e il metallo. Il movimento delle ruote è lento, continuo, ipnotico. Il suono dell’acqua che scorre è come un basso continuo, accompagnato dalle ritmiche percussioni delle pale. Immersione, emersione, vapore di gocce sospese a mezz’aria. Il sole in controluce che le illumina mentre svaniscono come i pensieri quando diventano sogni.
Ma la vera magia, è all’interno.

Dalla penombra emerge la figura di Bert. Camicia bianca, capelli bianchi, il volto bianco di farina. Sembra di essere all’interno di un antico orologio, nel meccanismo interno del tempo. Fusioni in ghisa in pezzo unico, ruote dentate, ingranaggi, leve: un gioiello di meccanica inventato e realizzato per macinare farina biologica.
– Papà ha iniziato più di trent’anni fa con il biologico, – dice Cristian con orgoglio. – Adesso è diventato di moda ed è soprattutto una faccenda di bollini ed etichette. Noi ne siamo usciti per sviluppare una nostra “filosofia biologica”, che parta dal campo e arrivi alla farina e alla tavola.
Mi spiega che le pietre della macina girano molto lentamente, un giro al secondo, sessanta giri al minuto. Il chicco non viene frantumato, ma solo schiacciato, conservando il germe e tutte le proprietà del grano.
Osservo il lavoro di Bert e comprendo quanto sia complesso il mestiere di mugnaio. Il figlio lavorava nelle centrali nucleari, in giro per l’Italia e nel mondo; oggi lo affianca a tempo pieno. Occorrono la sensibilità dell’alchimista e la concretezza del meccanico. Con un occhio si controlla il movimento della moltiplica, con le dita si accarezza la densità della farina, con l’orecchio si registra il battito della macchina. Non si sta mai fermi, c’è sempre qualcosa di importante da fare. Piccole cose, tutte fondamentali.
– Papà è il mugnaio, io sono ancora l’apprendista, – dice Cristian.
Naturalmente non è così, ma è bello sentirglielo dire.
Cristian e Bert non sono solo mugnai. Sono anche gli unici battitori artigianali di stoccafisso, il merluzzo essiccato all’aria. Attenzione a non confonderlo con il baccalà, che è invece il merluzzo sotto sale. Un mestiere antico che nelle loro mani diventa nuovo e affascinante. Un tempo erano i fabbri – che qui chiamano ancora battiferro – a preparare lo stoccafisso. Il mulino di Bert batteva invece la canapa e si è poi convertito al merluzzo essiccato. La pale del vecchio mulino muovono con rigorosa esattezza la testa del maglio: legno su pietra, due colpi al secondo, 250 chili ogni colpo.
Sembra una batteria, invece è la musica che Cristian e Bert ascoltano tutti i giorni.
Il calore del legno sulla pietra – che sono cattivi conduttori – viene assorbito dallo stoccafisso. Le fibre si allungano, senza rompersi, e il pesce rimane un filetto unico, senza rotture.
Cristian impiega più di un’ora per battere cinquanta chili di stoccafisso; l’industria meno di dieci minuti!
Il risultato è un pesce di eccezionale morbidezza, capace di assorbire i condimenti come fosse appena pescato.

Le ultime inquadrature sono tutte per lo stoccafisso e la polenta del mulino di Bert, arrostita sulla brace del fogòlar friulano. Lo stoccafisso mantecato è meraviglioso; io però lo gusto con un piacere tutto particolare, che gli altri, i palati fini della compagnia, non possono cogliere. Oggi è martedì, ma per me è come se fosse venerdì. Sembra uno di quei venerdì a Genova, quando scendo in porto e pranzo con la mia famiglia: chi esce dal lavoro, chi da scuola, chi sbuca dai sogni, chi dai pensieri. Raggiungiamo la nostra osteria preferita, ci sediamo e ordiniamo. Io, naturalmente, stoccafisso accomodato: la mia passione. Ogni venerdì a Genova, stoccafisso.
La prossima volta, però, farò attenzione alla compattezza della fibra. Osserverò il filetto e chiederò se lo battono a mano o con i rulli…

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.
Venite a Codroipo, nel Parco delle Risorgive e nel mulino di Bert. Ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti.

(Luca Masia per Mentelocale 2015)

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